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Trump
alla Casa Bianca I pregi del cambiamento Quali
che possano essere le variazioni sul tema, con un qualche anticipo sul voto
negli Stati Uniti, abbiamo ricordato la teoria del pendolo di Arthur
Schlesinger jr. Ammesso che un partito riesca ad assicurarsi due mandati alla
Casa Bianca, il terzo passa di mano al candidato del partito avversario.
Teoria che per duecento anni si è sempre rivelata esatta, indipendentemente
dal profilo personale del futuro presidente. L’America ama il cambiamento e
quali che possono essere i rischi che questo può procurare i suoi abitanti
hanno spalle sufficienti forti per godere dei benefici procurati. Anche se
Obama avesse incarnato l’età dell’oro, tempo otto anni maturano degli
anticorpi tali che il tessuto sociale americano per tornare a respirare
pretende una svolta netta. Quale che sarebbe stato il successore di Obama,
indipendentemente dal candidato repubblicano, avrebbe avuto vita dura. Di
tutti i candidati possibili, il partito democratico non si è spremuto tanto
per offrire una valida alternativa. Con buona pace di Illary si è trattato di
un esponente dell’establishment sconfitto alle primarie dieci anni fa, che
non aveva più nulla da perdersi. Chi si vuole consolare può incominciare a
pensare che il futuro presidente democratico si sta allevando dal preciso
momento in cui Donald Trump ha iniziato a festeggiare. Se poi Trump si
dimostrerà un buon presidente potrà sperare in un secondo mandato. Altrimenti
il suo governo sarà solo una breve parentesi nella storia statunitense. Come
l’America ha cambiato, cambierà ancora. Le preoccupazioni sono comunque
comprensibili. I nuovi Stati Uniti d’America saranno più isolazionisti.
L’Europa, persa la Gran Bretagna alla casa dell’Unione, potrà soffrirne. In
compenso i rapporti con la Russia dovrebbero migliorare. Obama si è giocato
molto della sua credibilità sul piano internazionale nello scontro con Putin,
in Ucraina prima, in Siria poi. Eppure l’occidente non ha nessun interesse
strategico nel veder cadere Assad, soprattutto se dovesse subentrargli una
deriva fondamentalista. Egualmente l’occidente non ha avuto vantaggi dalla
caduta di Gheddafi. E’ vero che Bush è stato il primo a porsi il problema
della democratizzazione del medio oriente, ma mandava le sue truppe a
governarla, le truppe che Obama ha ritirato. L’Isis è nata causa un
presidente americano illuso che una volta eleminato Bin Laden ogni problema
sarebbe stato risolto. La sovraesposizione della Turchia di Erdogan nasce in
questo contesto pericolosissimo. Non è detto che con Trump le cose vadano
meglio, difficile che vadano peggio. Anche perché i populisti italiani che
oggi esultano, dimenticano che nel dna del partito repubblicano statunitense,
si trova un Lincoln, quando dalle nostre parti al più trovi un Di Maio. Roma, 10
novembre 2016 |
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